Pasolini, Poesia in forma di rosa

L'opera

Poesia in forma di rosa esce nell’aprile 1964 e in una seconda edizione, riveduta e corretta, nel giugno dello stesso anno. È l’autore a esigere che il volume venga ristampato, scontento non solo dei numerosi errori di stampa, ma anche della stessa architettura dell’opera.

I materiali preparatori raccontano di una gestazione piuttosto sofferta, nel corso della quale Pasolini rimodula più volte la struttura del volume, inserendo ed eliminando componimenti. Ad affiancarlo nel lavoro di revisione è Francesco Leonetti, promosso dall’autore a curatore occulto della raccolta. La fibrillazione intorno al testo deriva dalla consapevolezza di aver dato vita a un libro «importante», un volume «abbastanza impressionante, per mole, violenza, tenerezza» (LE, II, p. 537), tanto da essere presentato da Pasolini alla stregua di un «romanzo autobiografico».

Dal punto di vista formale, i componimenti sono piuttosto variegati: si va infatti dal diario alla terzina, dall’endecasillabo sciolto al poemetto, con la mescolanza di versi e prosa. Il contenuto della raccolta si può identificare «nella consapevolezza della fine di ogni ideologia stabile, nella vocazione verso un'opposizione assoluta e nella scoperta che ormai “la Rivoluzione non è più un sentimento”». Pasolini dichiara la fine della Storia – cioè dell’ideologia marxista degli anni Cinquanta – e l’avvento di due Preistorie: quella arcaica del meridione del mondo e quella ‘nuova’ del nord capitalistico. Dalla solitaria opposizione al proprio tempo, condotta con la «disperata vitalità» di longhiana memoria, deriva un tono profetico, che porta il poeta a invocare la distruzione delle città capitalistiche e l’azzeramento del corso della storia.